Sanzioni antiriciclaggio e la responsabilità solidale dei soci dello studio associato

Di: Giuseppe Mancini
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Negli ultimi anni i controlli e le verifiche antiriciclaggio effettuate dal Nucleo di Polizia Valutaria negli Studi o Associazioni Professionali, sono diventate più frequenti e nel corso delle stesse può succedere (purtroppo in modo sovente considerato che molti professionisti si ostinano incomprensibilmente a non accettare la normativa AR) che i militari constatino che uno o più soci/associati non hanno adempiuto correttamente alle disposizioni dettate in materia e che il tutto venga, poi, contestato nel relativo pvc. Al verbale della GdF spesso fa seguito la notifica del relativo decreto sanzionatorio da parte del MEF.

In una situazione come quella descritta, però, è accaduto che nel decreto il Mef intimi anche all’entità Studio/Associazione Professionale di rispondere del pagamento della sanzione irrogata, in solido con il socio/associato. In altre parole, viene richiesta anche agli eventuali soci/associati estranei alla vicenda di rispondere per una violazione compiuta personalmente da uno (o più) soci/associati.

Spesso siffatta richiesta non viene supportata da alcuna motivazione (neppure per relationem) che possa informare il destinatario del provvedimento del fondamento normativo della natura solidale, forse (mi sento di aggiungere) proprio perché non esiste. Ciò causa una ingiustificata menomazione del diritto di difesa del contribuente.

In questo articolo proverò a riepilogare le mie riflessioni sui concetti fondamentali in materia e su ciò che ho avuto modo di apprendere e di condividere con colleghi professionisti in occasione di collaborazioni per contenziosi antiriciclaggio.

L’affermazione della natura solidale della responsabilità dello Studio associato (per l’attività di un suo socio) è in contrasto con le norme generali afferenti allo svolgimento della professione, anche in forma associata.

Il Professionista iscritto all’Albo, ancorché operi nell’ambito di una associazione professionale (Studio Associato), agisce sempre personalmente e risponde sempre ed esclusivamente individualmente per gli incarichi che assume e per i relativi obblighi nei confronti dei clienti, dei terzi, delle P.A. e per gli obblighi di legge.

Come è noto, infatti, l’esercizio delle professioni intellettuali di iscritti in Albi si basa sul principio fondamentale del carattere rigorosamente personale della prestazione professionale ex articolo 2232 cod.civ.

Concetto che acquisisce valenza particolare soprattutto per quelle prestazioni professionali attinenti a una professione regolata come quella dei dottori commercialisti, per i quali lo svolgimento della professione è subordinato nell’interesse pubblico all’iscrizione all’albo.

Il principio della personalità della prestazione non viene pertanto derogato neppure quando la professione, come è ammesso, viene svolta in forma associata. Secondo Cass. 13.7.2018, n. 18527 “L’associazione tra professionisti rappresenta un mero patto interno tra i partecipanti per la divisione delle spese senza rilevanza esterna e non vale in alcun modo ad attribuire personalità giuridica all’associazione, tale che è nullo il contratto di prestazione professionale conferito all’associazione impersonalmente”. Nel caso oggetto di esame della Cassazione, i giudici di legittimità affermavano infatti che, proprio sulla scorta del principio della personalità della prestazione, ¬ la mera appartenenza ad uno studio associato non determina alcuna responsabilità in capo al professionista (o ai professionisti) rimasto estraneo all’incarico, svolto in maniera non corretta dal collega di studio. Ma ciò vale, anche a prescindere dall’affermazione della possibilità di riconoscere o meno una soggettività giuridica al rapporto associativo tra professionisti, in quanto “la disciplina del contratto d’opera professionale, dettata dall’articolo 2229 c.c. e ss., presuppone ed  implica l’esercizio individuale della professione, come è reso evidente soprattutto dal principio della personalità della prestazione e dalla conseguente necessità che chi  si  obbliga  a fornire la prestazione intellettuale sia una  individuata  persona fisica  e che l’eventuale intervento dei terzi nell’adempimento può avvenire solo con le  forme ed i limiti  della collaborazione sostitutiva  o ausiliaria prevista dall’articolo 2232 c.c.” (Cass. Sez. Unite 2015/13144).

Tale principio come noto è rimasto fermo anche dopo l’abrogazione dell’art. 2 della legge 1815/1939 (con il c.d. primo decreto Bersani) ed esplicitamente ribadito anche con l’introduzione della possibilità di esercizio in forma societaria delle professioni protette ad opera dell’art. 10, della legge 183/2011, ove si ha cura di prevedere che l’attività professionale debba essere svolta in via esclusiva dai soci e che “la designazione del socio professionista sia compiuta dall’utente e, in mancanza di tale designazione, il nominativo debba essere previamente comunicato per iscritto all’utente”.

La natura personale dell’attività professionale trova peraltro conferma anche nelle stesse disposizioni antiriciclaggio ove all’art. 3 d.lgs. 231/2007 si stabilisce che i destinatari della normativa sono i professionisti iscritti all’Albo dei dottori commercialisti e non gli Studi Associati.

Ciò basterebbe ad escludere che l’attività svolta personalmente dal singolo professionista, quand’anche considerata foriera di responsabilità, possa comportare in base ai principi generali la responsabilità dello Studio Associato con il suo patrimonio o, in modo ancor più grave, degli associati estranei alla vicenda.

Nessun supporto alla tesi della responsabilità in solido dello Studio/Associazione Professionale può discendere neppure dall’art. 6 della legge 689/1981 che regola l’ipotesi della solidarietà per la sanzioni di natura amministrativa. Tale articolo sancisce che “Se la violazione è commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica o di un ente privo di personalità giuridica o, comunque, di un imprenditore, nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, la persona giuridica o l’ente o l’imprenditore è obbligato in solido con l’autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta.

In altri termini, autore dell’illecito amministrativo è esclusivamente la persona fisica se però questa è rappresentante o dipendente di una persona giuridica o di un ente privo di personalità giuridica e la violazione sia compiuta nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, la persona giuridica o l’ente sarà obbligato in solido con l’autore della violazione al pagamento della sanzione da questi dovuta.

La disposizione citata però non può essere ritenuta applicabile al caso dell’esercizio di attività professionale che, a differenza dell’attività di impresa, non è suscettibile dell’imputazione organica ex art. 2049 c.c. in ragione del principio – considerato inderogabile nel pubblico interesse – della personalità della prestazione.

Con riferimento a tale disposizione, dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che l’introduzione della responsabilità solidale della persona giuridica o dell’ente privo di personalità giuridica per l’illecito compiuto dal rappresentante o dal suo dipendente ha l’intento di sollecitare la vigilanza delle persone giuridiche e degli enti, chiamati a rispondere in solido, sull’operato del legale rappresentante. Ma ciò evidentemente non è associabile ad una professione che fa della natura personale della prestazione – anche quando svolta in forma associata – un suo carattere distintivo. Il Professionista, che esercita la professione all’interno di uno Studio associato, conserva la sua piena autonomia, indipedenza e responsabilità professionale individuale: nell’esercizio della sua professione non agisce in rappresentanza dello Studio Associato né è dipendente dello stesso, né è persona soggetta all’altrui autorità, direzione o vigilanza.

A ciò deve aggiungersi che la responsabilità solidale non può e non deve operare in via automatica in quanto il presupposto essenziale è l’accertamento dell’elemento soggettivo del responsabile in solido. Sostenere il contrario sarebbe anche incostituzionale (art. 24 Cost.).

Quanto affermato, trova fondamento nell’orientamento della Suprema Corte che con la sentenza n.2018/30766 ha affermato che “In tema di sanzioni amministrative, a norma dell’art. 3 l. n. 689 del 1981 è responsabile di una violazione amministrativa solo la persona fisica a cui è riferibile l’azione materiale o l’omissione che integra la violazione, sicché, qualora un illecito sia ascrivibile in astratto ad una società di persone, non possono essere automaticamente chiamati a risponderne i soci amministratori, essendo indispensabile accertare che essi abbiano tenuto una condotta positiva o omissiva che abbia dato luogo all’infrazione, sia pure soltanto sotto il profilo del concorso morale (nella specie, la suprema corte ha escluso che i singoli soci di una snc, ancorché amministratori, potessero, per ciò solo, essere chiamati a rispondere della sanzione applicata in conseguenza dell’affissione, da parte di soggetti rimasti ignoti, di materiale pubblicitario riguardante la società, in assenza della prescritta autorizzazione)”.

Alla luce di quanto esposto, si può concludere, affermando che appare assolutamente palese che in nessun caso il socio/associato dello Studio possa essere chiamato a rispondere (anche se soltanto in solido) degli inadempimenti antiriciclaggio del collega associato sul cui operato non avrebbe mai potuto esercitare alcun tipo di vigilanza né potere di direzione.

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