il curatore fallimentare non è il titolare effettivo

Il curatore fallimentare non è il titolare effettivo ai fini della normativa antiriciclaggio

Di: Antonio Fortarezza
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Mentre il sistema della prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo previsto dal D.lgs. 231/2007, recentemente riformato dal D.Lgs. 90/2017, amplia il perimetro della sua operatività, negli ultimi mesi, si è assistito ad una situazione di grande incertezza, che ha visto molti Dottori Commercialisti e Avvocati che svolgono la funzione di curatore fallimentare, destinatari di atteggiamenti in molti casi “muscolari” da parte degli istituti bancari in ordine all’individuazione del titolare effettivo nelle procedure fallimentari.

In effetti, la legittima necessità da parte degli operatori finanziari di svolgere l’adeguata verifica prevista dall’art. 17 del D.lgs. 231/2007, in occasione dell’apertura di un rapporto di conto corrente con la procedura fallimentare, sta creando non pochi disagi soprattutto con riferimento all’individuazione ed identificazione del titolare effettivo, poiché in maniera errata, e come meglio analizzato in seguito, viene individuato come titolare effettivo del rapporto, il curatore fallimentare.

Giova sempre ribadire, che il curatore fallimentare sia esso iscritto all’Albo dei Dottori Commercialisti o all’Albo degli Avvocati, non è destinatario degli obblighi antiriciclaggio previsti dal D.lgs. 231/2007 e ciò, fin dall’introduzione degli obblighi a carico dei professionisti previsti con il Decreto MEF 3 febbraio 2006, n. 141, entrato in vigore il 22/04/2006. Tale esonero dagli obblighi antiriciclaggio, chiarito con il provvedimento UIC n. 15 del 21/06/2006, non è mai stato messo in discussione da altre Autorità.

Al fine di inquadrare la questione relativa all’individuazione del titolare effettivo nell’ambito della procedura fallimentare, è necessario ricordare quelli che sono gli organi, in questo caso del “fallimento”, previsti dalla legge. Gli organi del fallimento, sono previsti al Capo II della legge fallimentare e precisamente sono il:

  • Tribunale Fallimentare – art. 23 L.F.
  • Giudice delegato – art. 25 L.F.
  • Curatore – art. 27 L.F.
  • Comitato dei creditori – art. 40 L.F.

Il curatore fallimentare, che ai sensi dell’art. 30 della legge fallimentare, assume la qualità di pubblico ufficiale, ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite.

E’ molto importante per le necessità di analisi della questione, mettere immediatamente in evidenza, come il Tribunale Fallimentare è competente a conoscere tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore ai sensi dell’art. 24 della L.f., e che il Giudice Delegato esercita funzioni di vigilanza e di controllo sulla regolarità della procedura ai sensi dell’art. 25 della L.f.. Inoltre, il comitato dei creditori, ai sensi dell’art. 41 della L.f. deve vigilare sull’operato del curatore, ne autorizza gli atti ed esprime pareri nei casi previsti dalla legge, ovvero su richiesta del tribunale o del giudice delegato.

All’interno di tale organizzazione della procedura fallimentare, è di immediata evidenza la netta scissione tra le funzioni di controllo esercitate dal Tribunale, dal Giudice Delegato e dal comitato dei creditori, da quelle di gestione esercitate dal curatore fallimentare il cui compito è di amministrare il patrimonio fallimentare nell’interesse esclusivo della massa dei creditori concorsuali.

Con riferimento all’apertura dei rapporti di conto corrente intestati alla procedura fallimentare, è la stessa legge che ne disciplina la relativa operatività, poiché all’art. 34 della L.f., vi è un preciso obbligo a carico del curatore fallimentare di depositare nel massimo termine di 10 giorni qualunque somma riscossa su un conto corrente intestato al fallimento da aprirsi presso un ufficio postale o presso una banca scelta dal curatore.

In tale contesto, l’atto di apertura di un conto corrente presso una banca o presso un ufficio postale scelto dal curatore fallimentare rappresenta un vero e proprio atto dovuto con l’obbligo da parte dei relativi intermediari finanziari di provvedervi essendo sufficiente in tale situazione la semplice evidenza peraltro ampliamente pubblicizzata presso il Registro delle Imprese della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore, e senza la necessità di richiedere l’autorizzazione al curatore fallimentare da parte degli altri organi della procedura. Autorizzazione che invece risulta necessaria da parte del giudice delegato, esclusivamente nel caso in cui si debba provvedere al prelievo delle somme dal conto corrente postale o bancario intestato al fallimento così come previsto all’art. 34 della L.f..

In questa situazione, il curatore fallimentare, che ricordiamo assume la qualità di Pubblico ufficiale, nel momento in cui apre un rapporto di conto corrente, ha già una funzione ben precisa e delineata dall’ordinamento giuridico, ed anzi, l’apertura del rapporto presso una banca o un ufficio postale è assolutamente un atto per ordine dell’autorità giudiziaria, non potendosi applicare in questo caso le ordinarie regole nella definizione di generico “cliente”, peraltro confermate all’art. 1, comma 1, lettera b, del Decreto del 24 maggio 2012 del Min. Economia e Finanze[1].

Per quanto riguarda l’identificazione, della “procedura fallimentare” in occasione dell’espletamento degli obblighi di adeguata verifica da parte dell’intermediario finanziario, prima di tutto, è assolutamente necessario evidenziare, che ad oggi, non è possibile addurre al curatore fallimentare, in occasione dell’apertura del rapporto, generici e spesso imprecisati riferimenti a provvedimenti in materia di antiriciclaggio di Banca d’Italia, poiché sull’argomento non ve ne sono, mentre invece l’unica certezza rilevante sotto un profilo normativo è quella che il curatore fallimentare, pubblico ufficiale, agisce per conto dell’autorità giudiziaria. In tal senso, e per la natura pubblicistica del rapporto, l’addetto all’adeguata verifica della “procedura fallimentare” della banca, deve quantomeno rifarsi alle regole previste dall’art. 17, comma 3, del D.Lgs. 231/2007 e quindi adottare misure di adeguata verifica proporzionali all’entità dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.

Sul punto, all’addetto all’adeguata verifica della “procedura fallimentare” della banca o dell’intermediario finanziario, è necessario ricordare che all’art. 23 del D.Lgs. 231/2007, è consentito dalla legge, adottare misure di adeguata verifica semplificata, tra l’altro, nei casi in cui il cliente sia una Pubblica Amministrazione, circostanza che appare ovvia a meno che non si consideri l’Amministrazione Giudiziaria che governa il Tribunale Fallimentare competente a conoscere tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore ai sensi dell’art. 24 della L.f., il Giudice Delegato che esercita funzioni di vigilanza e di controllo sulla regolarità della procedura ai sensi dell’art. 25 della L.f. e il Curatore Fallimentare, pubblico ufficiale ex art. 30, come esclusi dalla definizione di Pubblica Amministrazione. In tali casi “si sconta l’ovvio affermando che il rischio insito in queste operazioni è nullo[2].

Inoltre, sempre in materia di adeguata verifica semplificata all’art. 23 del D.Lgs. 231/2007, con riferimento ai prodotti e servizi offerti, viene stabilito, tra l’altro, un basso rischio, nei casi di rapporti in cui i rischi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo sono mitigati da fattori, quali limiti di spesa o trasparenza della titolarità. Ed anche in questo secondo caso, la “procedura fallimentare” per come visto sopra, ha le caratteristiche di essere una entità pubblica particolarmente vigilata sia nelle funzioni di controllo che in quelle di gestione del conto corrente, oltre che essere assolutamente trasparente sotto un profilo di titolarità del rapporto.

Innanzitutto, il titolare effettivo secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 2, lettera pp, del D.Lgs. 231/2007, è la persona fisica o le persone fisiche, diverse dal cliente, nell’interesse della quale o delle quali, in ultima istanza, il rapporto continuativo è istaurato. Fermo restando la circostanza che il curatore fallimentare, è l’esecutore della procedura ai sensi dell’art. 1, comma 2, lettera p, del D.Lgs. 231/2007, secondo la precedente definizione di titolare effettivo, lo stesso non potrà mai essere individuato come persona fisica nell’interesse della quale, in ultima istanza, il rapporto continuativo è istaurato, proprio perché il suo operato previsto dall’art. 30 della legge fallimentare è finalizzato ad amministrare il patrimonio fallimentare esclusivamente nell’interesse della massa dei creditori concorsuali e sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori.

In realtà, a voler inquadrare in modo organico la questione, la procedura fallimentare, per certi versi, è una entità, che per sua natura, sfugge alle ordinarie regole di classificazione degli enti prevista dal D.Lgs. 231/2007, rendendo la stessa molto più vicina ad una Pubblica Amministrazione per le sue funzioni (cosa che è evidente), piuttosto che ad una generica entità giuridica nei cui confronti svolgere le ordinarie attività di adeguata verifica da parte dei destinatari.  In tal caso essendo la “procedura fallimentare” ai sensi del decreto antiriciclaggio a basso contenuto di rischio in quanto Pubblica Amministrazione, si rendono operanti le disposizioni relative all’adeguata verifica semplificata previste dall’art. 23 del D.lgs. 231/2007, le quali prevedono che in presenza di un basso rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, i soggetti obbligati possono applicare misure di adeguata verifica della clientela semplificate sotto il profilo  dell’estensione e della frequenza degli adempimenti, ed in questo caso, sotto il profilo dell’estensione ben potrebbero essere tranquillamente evitati gli obblighi di identificazione del titolare effettivo. Sul punto non dimentichiamo che prima della riforma contenuta nel D.lgs. 90/2017, nei confronti della pubblica amministrazione non era necessario identificare il titolare effettivo, circostanza che di sicuro non abbassava i livelli e i presidi previsti dalla normativa antiriciclaggio.

A ben vedere, e con una analisi diversa, se dovessimo ragionare al pari di entità giuridiche diverse dalla Pubblica Amministrazione, ed applicare i presidi e la ratio delle indicazioni previste dalla legge antiriciclaggio, saremmo orientati nel definire secondo la logica dei beneficiari finali del rapporto, come titolari effettivi i creditori concorsuali o per essi il comitato dei creditori, ovvero secondo la logica del controllo, individuare come titolari effettivi, il Presidente del tribunale o il Giudice Delegato, o comunque la figura apicale dell’amministrazione giudiziaria individuabile nel Ministro della Giustizia[3].

Diversamente, ed argomentando secondo la risposta di Banca d’Italia alla Faq sopra evidenziata, in cui la stessa ha stabilito che nell’ambito delle procedure concorsuali la società rimane comunque cliente formale e sostanziale dei rapporti accesi a suo nome su disposizione dell’Autorità Giudiziaria, si sarebbe portati ad individuare i titolari effettivi secondo le ordinarie regole relative alla natura giuridica del cliente, e quindi individuando ad esempio quali titolari effettivi i soci della società fallita o i soggetti previsti all’art. 20 del D.lgs. 231/2007.

Non meno importante, ai fini dell’analisi avviata, è la circostanza che le modalità di identificazione del titolare effettivo, sono previste all’art. 19, comma 1, lettera a, del D.lgs. 231/2007, ed in tal senso, il curatore fallimentare in occasione dell’apertura del rapporto di conto corrente sarà lui stesso a fornire, sotto la propria responsabilità, le informazioni necessarie a consentire l’identificazione del titolare effettivo al destinatario degli obblighi.

Il curatore fallimentare tenuto conto della sua carica e funzione, potrà in assenza di indicazioni precise, essere portato a fornire al destinatario al fine di consentire l’identificazione del titolare effettivo, le informazioni relative ad esempio delle persone fisiche che compongono il comitato dei creditori nominato ai sensi dell’art. 40 della legge fallimentare ovvero l’informazione del presidente del comitato dei creditori, che ricordiamo essere i beneficiari finali dell’amministrazione della procedura fallimentare.

Analogamente, il curatore fallimentare potrebbe essere portato a fornire al destinatario i nominativi delle persone fisiche che esercitano il controllo sulla procedura fallimentare inserita nell’ambito dell’amministrazione giudiziaria, che secondo quanto previsto dall’art. 23 e 25 della legge fallimentare sono individuabili nel Presidente del tribunale e nel giudice Delegato e comunque nella figura apicale del Ministro della giustizia. Sempre nell’ottica da parte del curatore fallimentare di fornire ai sensi dell’art. 19, comma 1, lettera a, i dati per l’individuazione del titolare effettivo, lo stesso, seguendo le precedenti indicazioni di Banca d’Italia, potrebbe essere portato a fornire i dati del titolare effettivo della società esattamente seguendo le indicazioni previste dall’art. 20 del d.lgs. 231/2007 e quindi nel caso delle società di capitali andando a fornire i dati delle persone fisiche che hanno una partecipazione superiore al 25% del capitale, ovvero i dati delle persone fisiche che esercitano il controllo in altro modo ed in subordine i dati dell’amministratore della società fallita.

In ogni caso, è stato ampiamente evidenziato per i motivi sopra esposti, che il curatore fallimentare della procedura, non possa essere individuato quale titolare effettivo, a meno che ovviamente, in assenza di precisi chiarimenti, sia lo stesso di sua iniziativa a qualificarsi come tale in occasione dell’apertura del rapporto di conto corrente o di altre operazioni.

Ricordiamo che ai sensi dell’art. 55, comma 3, del D.Lgs. 231/2007, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il curatore fallimentare essendo obbligato, a fornire i dati e le informazioni necessarie ai fini dell’adeguata verifica della clientela, fornisce dati falsi o informazioni non veritiere, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 10.000 euro a 30.000 euro, da cui discende che il curatore fallimentare, soprattutto in funzione dell’attività e della funzione svolta non vorrà di sicuro essere destinatario di una sanzione così grave.

Analogamente, gli intermediari finanziari, al fine di rispettare i loro obblighi di identificazione del titolare effettivo ai sensi dell’art. 19, comma 1, lettera a, sono tenuti ad acquisire e conservare la dichiarazione responsabile del curatore fallimentare, in quanto anche espressione della sua responsabilità penale prevista ai sensi dell’art. 55, comma 3, del D.lgs. 231/2007, senza fornire all’atto dell’identificazione diverse indicazioni che potrebbero in estreme situazioni, anche integrare il delitto previsto dall’art. 55, comma 1, del D.Lgs. 231/2007.

In questa situazione in cui tutte le parti agiscono nel preciso rispetto dei propri obblighi e doveri, l’operatività delle disposizioni della normativa antiriciclaggio esplica i propri effetti su tutti gli operatori destinatari, rimanendo inteso che l’intermediario finanziario, che come previsto per legge deve acquisire la dichiarazione sul titolare effettivo del curatore fallimentare, potrà per quanto di sua competenza e nell’ambito delle proprie attività istituzionali effettuare tutte le analisi e i riscontri che la legge primaria e secondaria prevede.

Non v’è dubbio che l’assenza di indicazioni di Banca Italia rivolte agli intermediari finanziari, seppur dagli stessi sollecitate, stia creando notevoli difficoltà nell’operatività della funzione svolta dai curatori fallimentari, che hanno tutto l’interesse ad evitare di essere inseriti nelle informazioni in possesso dalle banche come titolari effettivi di società sottoposte a procedure concorsuali.


Note:

[1] “…non si considerano rapporti aperti con il cliente quelli aperti per ordine dell’autorità giudiziaria…”.

[2] Tribunale Trapani sezione penale sentenza del 10/02/2015 depositata il 10/04/2015 in cui “…nell’esaminare tali operazioni, balzano evidente le operazioni riconducibili alla Curatela Fallimentare, dove ad operare è il curatore fallimentare, sotto la diretta vigilanza del giudice delegato al fallimento, oltre che di tutti gli organi della procedura concorsuale. Si sconta l’ovvio affermando che il rischio insito in queste operazioni è nullo…”

[3] Barbato Giovanni e Fortarezza Antonio, Nuovi Adempimenti e procedure antiriciclaggio per i professionisti, Euroconference, 2018.

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